SAN MARTINO IN PENSILIS – Oltre considerarla una cara amica, penso che sia la penna di platino del giornalismo molisano. Caterina Sottile, giornalista dell’area termolese, esaudendo un mio grande desiderio, lascia un segno indelebile su ecedelsangro con uno speciale sulla “Carrese”. Un appuntamento tutto da godere, almeno una volta nella vita.
Fabrizio Fusco
30 Aprile, il giorno in cui San Leo sorride ai contadini
Il 30 Aprile è il giorno della Corsa, il giorno in cui il tempo si ferma e tutto torna a misura d’uomo e di animali. I Carri arrivano alla Partenza, compiono, in silenzio assoluto, mezzo giro, e via, l’urlo liberatorio dei carrieri è la spinta più forte e più dolente contro la resistenza del vento. Giovanotti, Giovani, Giovanissimi, tre carri, due buoi ciascuno, sostituiti a metà del percorso da una coppia fresca. Il punto in cui avviene il Cambio dei buoi si chiama ‘Tratturo’, antico spazio di sosta delle greggi che attraversavano i trattuti dal Molise alla Puglia. La Partenza, infatti, coincide con la Masseria Macrellino, a Nuova Cliternia, a poche centinaia di metri dalla statale che separa le colline sammartinesi dal mare. La Corsa è dedicata al santo Patrono, San Leo, monaco benedettino vissuto nell’XI secolo dopo Cristo. La leggenda racconta che le sue spoglie furono rinvenute per caso da un gruppo di nobili usciti a cavallo per una battuta di caccia. Le spoglie del beato Leone furono ritrovate nel Convento di San Felice da Roberto di Bassavilla, Conte di Loretello tra il 1154 e il 1182 d.C. Non riuscendo a mettersi d’accordo su chi dovesse conservarlo, lasciarono che a decidere fossero due giovani buoi. Lasciarono che gli animali correrressero liberamente nelle campagne della zona. I buoi, infatti, si lanciarono in corsa, portando su un carro il corpo di Leone e arrivati davanti alla antica chiesetta di Santa Maria, a San Martino in Pensilis, morirono di stanchezza. Le spoglie rimasero almeno 6 secoli nell’antica Chiesa di Santa Maria, ora non più consacrata. Fu lì che venne deposto, Nel 1728 Mons Tria volle che fosse portato nella nuova Chiesa. Dietro l’altare e il bellissimo coro domina l’organo, imponente e austero, fra i capitelli barocchi e corinzi, sovrastato dalle volte animate dalle scene di vita di San Pietro create da Palombo. Uno dei più antichi e perfetti organi presenti in Molise, costruito nel 1771. La Chiesa di San Pietro è la cornice più degna del corpo del Patrono di questa comunità. E proprio sulla porta principale , ad accogliere i fedeli che arrivano o a benedirli dall’alto quando lasciano la chiesa, c’è un antico dipinto di San Leo, del pittore Aulicino, della Scuola napoletana di Solimena, del XVII° secolo. Giovan Battista Masciotta la cita ampiamente nelle sue cronache storiografiche: ” S. Martino è pertinenza della diocesi di Larino, fin dalle proprie origini. Comprendeva in tempi lontani tre parrocchie intitolate a San Martino, S. Maria in Pensili, e S. Pietro apostolo. Nel Sinodo diocesano del 1642 il vescovo mons. Caracci soppresse le prime due, e ne concentrò i beni in quelli della terza, la quale da allora è l’unica. Il protettore del Comune è S. Leone dei benedettini, che per tradizione vuolsi concittadino, e la cui festa è celebrata il 2 maggio con la caratteristica corsa dei buoi….La Chiesa di S. Pietro apostolo, distrutta la vetustissima chiesa preesistente di tal titolo, la presente fu costruita in sito più adatto, restaurata radicalmente nel secolo XVIII, e decorata con gusto nell’occasione della traslazione del corpo di S. Leo, che dal 1728 vi riposa in una cassa d’ebano con pareti di cristallo sotto la mensa dell’altare maggiore.”
La chiesa di San Pietro Apostolo è un gigante buono: splendente, sembra quasi affamata di luce e la cattura ovunque, tra le pieghe antiche della sua bella fierezza; i profili puri disegnati dai capitelli, dalla sua pietra bianca, e il campanile lanciato verso il cielo, quasi a sferzarlo come un raggio di sole materializzato in terra: Oggi è a punta, perfettamente squadrato ma all’origine fu concepito con una cupola arabeggiante, più dolce. La distrusse un fulmine, nel 1893 e fu ricostruito solo due anni dopo. La chiesa, come la vediamo ancora, l’ha immaginata e voluta Monsignor Tria, che ne ordinò un grande restauro portato a termine nel 1750. Otto secoli di Storia si sgranano, come un rosario, sulle sue scale maestose da cui si accede alle navate barocche. Il genio paziente di Vincenzo Palombo ne ha reso le volte un trionfo di colore e di forme. Le mura maestose conservano il Corpo di San Leo, morto il 2 Maggio, intorno all’anno Mille. L’edificio è ad una sola nave; ed il suo interno misura m. 38 di lunghezza, m. 12 di larghezza, e m. 16 d’altezza. Nella facciata prospiciente sulla piazza è murata una lastra di marmo che porta scolpito un epitaffio dell’epoca romana: lastra di cui avevano fatto gradino per la porta piccola dell’edificio stesso, e che deve l’attuale situazione ad ordini di mons. Tria. Nella notte dal 19 al 20 marzo 1893 un fulmine determinò l’incendio della fabbrica; onde molti arredi ed oggetti preziosi andarono in cenere, e perduta andò pure una bella tela di Niccolò Melanconico raffigurante “La Vergine adorata dai protettori locali”. Nel 1728 la parrocchiale fu eretta dal Tria in Collegiata insigne, con dodici canonici aventi le insegne della cappa o zamparda, e della mozzetta. Recentemente, per lo zelo dell’attuale arciprete, la chiesa è stata ampliata di alcuni ambienti per uso di sagrestia e di archivio parrocchiale.
La Benedizione dei Carri
La mattina del 30 Aprile profuma di attesa e di fieno greco. L’ansia è uno spiffero tagliente che muove il grano ancora verde: passa repentina ma dolce attraverso le voci, le magliette, i foulard bicolore che decidono, senza se e senza ma, con chi stai. La campagna sammartinese in questi giorni di Primavera piena si gode il sole e ondeggia seguendo l’aria che cambia, placida e in fondo rassicurante, mentre gli uomini sono occupati a fare altro. San Martino è pronto, immerso nella sua luce collinare, vibrante del vento del mare. I cavalli sono schierati, come colonne lungo il porticato di una cattedrale antica e fa
nno buona guardia ai mattoni opachi di storia. I Palazzi di Piazza Umberto osservano, con quella loro immanenza familiare, il brulicare rumoroso dei ragazzi che si muovono a frotte. Facce, centinaia di volti che non si conoscono o che si sorridono tra bancarelle, fumo di barbecue indefiniti, palloncini. La festa di piazza, come i fiori spontanei, rinasce all’infinito, nel ciclo sorprendente delle stagioni di questo Molise dei tratturi. In Via Puglia, ai piedi del Muraglione, suo palcoscenico naturale, i Carri salgono lenti, ordinatamente, separati l’uno dall’altro: procedono con una calma solo apparente verso la Chiesa di San Pietro Apostolo. Costeggiano il Muraglione: una lunga scia bianca e celeste o gialla e rossa o gialla e verde. Uno alla volta, vanno verso la Chiesa, in una sorta di Mezzogiorno di fuoco in cui si incontreranno, in silenzio, per mettersi l’uno al fianco dell’altro, in attesa della Benedizione. Davanti agli scaloni della Chiesa di San Pietro Apostolo il silenzio è solenne come è giusto che sia di fronte al Mistero di Dio. Un silenzio che sale lungo la schiena come un brivido: a spezzare l’aria immobile solo il tamburellare ovattato degli zoccoli e il cigolìo delle ruote del Carro. I cavalli sono impazienti e nobili, il manto lucido delle grandi occasioni; avanzano, indietreggiano nervosi, pronti a partire; ma eseguono solo gli ordini delle briglie. Immersi in una folla che li avvolge come un mare, i carrieri si schierano a coorte. Ciascun carro, disciplinatamente, occupa il proprio: dentro la Chiesa riposa, da secoli, Santo Leone. Uomini e animali si inchinano mestamente in attesa del rito più bello di questa leggenda resa viva dall’autorevolezza della storia. Giallo, rosso, celeste, bianco, verde: l’attesa ha i colori della primavera sammartinese. Tutti pronti, con l’animo sgombro per ricevere la benedizione in onore di San Leo: “Padre, accompagna nel cammino questi cavalieri e dona loro la tua protezione; alla partenza, conforto e sostegno; lungo la via, difesa dai pericoli perché raggiungano la meta del pellegrinaggio e ritornino felicemente alle loro case. Nel nome del Padre, del Figlio…” L’applauso esplode come un tuono dopo la pioggia, e libera il cielo dalle nubi della tensione. Il cuore deve battere forte a quei ragazzi in divisa colorata ma la schiena è dritta e le gambe saldate ai fianchi fumanti dei cavalli con una fierezza antica, che evoca la battaglia eterna della vita. “Scendere”, questa la parola con cui in sammartinese si intende la partecipazione alla Corsa, è il momento più suggestivo. Serve coraggio, concentrazione e buon senso: tre cose che nella foga della gara non sempre è facile far coincidere . Eppure, la Corsa si ripete da secoli, sempre uguale e sempre imprevedibile. Accolta la benedizione, i Carri si avvieranno lenti lungo la Via Marina, verso il mare, seguendo la via dei tratturi, fino alla masseria Macrellino. E lì, per istinto e per fede, “gireranno”, in una corsa senza fiato, verso il traguardo.
Il percorso: le tappe della Corsa, dallo sfilaturo all’arco della chiesa di San Pietro Apostolo.
Dal mare a Piazza Umberto, solo uno schioccare di dita E molto, molto sudore.
La Corsa si svolge lungo otto chilometri e mezzo, dalla Masseria Macrellino, passando per il Cambio al Tratturo, la pianura prima della Madonnina, fino alla salita terribile della Croce. La Croce è una prova durissima per gli animali ma l’abilità ed il buon senso dei carrieri possono far risparmiare fiato ai buoi perché possano recuperare le forze per l’entrata in paese. La Via Marina ha già profumo di vittoria per chi la imbocca per primo. Da Piazza Umberto, all’apice di Via Marina, basta un attimo per inforcare l’Arco di Porta San Martino, il traguardo che conduce di fronte alla Chiesa di San Pietro Apostolo. Ogni tappa segna l’andamento della gara, in positivo o in negativo ed è oggetto di studi approfonditi da parte degli esperti. Le tappe del tracciato di gara hanno nomi suggestivi, di un sammartinese arcaico che sopravvive proprio nella lingua eterna dei Carri. LA PARTENZA Coincide con la MASSERIA MACRELLINO, LO SFILATURO, la “Terra Santa” dei carrieri. La partenza è uno spettacolo inimitabile: un groviglio di forza, nervi, braccia e mani e uno scatto di gambe sincronizzato, tra uomini e animali: i Carri vengono letteralmente abbracciati e sollevati a mano per ridurre al massimo l’attrito. Si portano i buoi nella posizione di partenza in assoluto silenzio proprio per evitare strattonamenti che possano farli “sfilare” prima del tempo. I cavalli sono tesi, sfiorano appena la terra battuta. È un moneto di assoluta delicatezza. I Carri si pongono a 25 metri di distanza l’uno dall’altro. Il primo salto dei buoi è un tuttn’uno con l’urlo di liberazione dei ragazzi che “girano”. I brividi, tra la foga e la paura, non bastano ed interviene il cuore a battere i tamburi delle emozioni. La Corsa ha inizio. Metri, chilometri di polvere e sudore, tappa dopo tappa, a galoppo fra il grano ancora giovane e il cielo che sembra avvicinarsi: la Quercia è la tappa successiva allo Sfilaturo, a circa quattrocento metri. Dalla Quercia i carri raggiungono la Masseria Basilio e poi Il Salto della Nazionale, l’incrocio della statale 16. Attraversano la pianura di Muricchio e arrivano alla prima ‘Ngasciata, detta “don Enrico”per via della Masseria di proprietà di don Enrico Tozzi. Raggiungono la Seconda ‘Ngasciata, detta anche MARIANNINA e attraversano l’ULIVETO LA VECCHIA. IL tratto che precede il Tratturo è U Levòne. In sammartinese il Tratturo è proprio il piazzale in cui i carri sostituiscono la prima coppia di buoi. Un momento complesso, almeno quanto la Partenza, che ha un nome onomatopeico: Rebbecetà (cambio dei buoi). Soltanto la Corsa di San Martino in Pensilis prevede la sostituzione dei Buoi, data la lunghezza e la difficoltà della gara. Il cambio è un momento di tensione esasperante, i tempi sono calcolati al millesimo e non è possibile sbagliare. Effettuare il cambio evitando di perdere tempo determina l’esito della corsa e molto spesso è un momento di grande fragilità psicologica che richiede freddezza, calma e molta fortuna: nella Corsa dei Carri, in fondo, la strategia davvero vincente è solo la fortuna. Possono poco i calcoli, la matematica, la statistica e tutto è immanente e imprevedibile, come la vita; la casualità è la vera certezza. Dal Tratturo i Carri ripartono alla volta del paese ed il primo tratto di strada successivo è detto PARCUOZZO. Raggiungono LA CURVA DI FRANCESCHINA, LA PIANURA DI CARAVATTA, fino AL TUPPO DI CASTIGLIONE. Attraversano LA PIANA DI SORELLA e arrivano ALLA MADONNINA. Qui imboccano il tratto più duro e più sfiancante di tutta la corsa, LA SALITA DELLA CROCE e via fino alla TAPPA DEL VECCHIO MULINO. L’ultima tappa è la grande strada che porta al centro del paese, la Via Marina , croce e delizia di tutti i carrieri che proprio in questa fase finale hanno visto spesso sfumare i sogni di gloria. La Corsa si conclude a Piazza Umberto I; i Carri oltrepassano l’arco di Largo Trinità e si fermano innanzi alla Chiesa di San Pietro Apostolo. E qui, la vittoria o la sconfitta pesano sui muscoli e sulle gambe allo stesso modo, con lo stesso struggente affanno che dà la sfida quando abbiamo dimostrato che sappiamo affrontarla.
Caterina Sottile